Sul Futuro dello sviluppo umano - Parte prima
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Questo articolo è un esperimento ispirato da alcuni articoli su Il Fatto del Prof. Ugo Bardi e del Prof. Ferdinando Boero più svariate casuali discussioni sul tema tra Reddit ed HN, per vedere se riesco a tracciare un futuro possibile al netto del presente, stimolando un dibattito razionale anziché puramente emotivo e polarizzato.
Per questioni di leggibilità web al posto del romanzetto iniziale è diviso in più articoli tematici, ad oggi:
dove siamo, dove possiamo andare
Vivendo nel presente, più o meno tutti conosciamo a grandi linee l'organizzazione della nostra società, ma in genere non ci curiamo del perché facciamo certe cose e questo rende molto difficile immaginare un futuro realistico non distinguendo il fine dal mezzo usato nel presente per raggiungerlo.
la chiave digitale, ovvero il telelavoro
Nel futuro che immagino vedo una società dove la digitalizzazione d'oggi sia "completata": quel 30% a spanne dei lavori oggi svolgibili da remoto così sarà svolto e ciò avrà permesso di ripopolare i borghi, perché si vive meglio nei borghi che nelle grandi urbi, incapaci di mutare al mutare di tecnologia, società e clima se non rifacendole da zero, tipicamente a seguito di tragedie come guerre, cataclismi che impongano il rifacimento. Oh, certo anche le case unifamiliari sono da rifare nel tempo, ma sono unifamiliari, un piccolo cantiere, una singola famiglia che decide, spazio intorno per cambiare senza bloccare strade per mesi, rilocale decine di famiglie e via discorrendo. Il telelavoro rende possibile tornare all'economia sparsa, l'ufficio era l'ultimo tassello che imponeva la città, già abbandonata dalle fabbriche con la globalizzazione negli anni '80, in cui la logistica aveva reso vantaggioso andar lontano anziché restare vicino a lavoratori e clienti.
La città non va bene per il presente e per il futuro, possiamo progettarne una da zero per l'oggi ed il domani prevedibile, alcuni lo fanno sognando novelle Fordlandia, ad es. Arkadag, Innopolis, Telosa, Prospera, per citare smart cities attuali, con risultati non meno distopici e fallimentari1 dell'originale, progetti venduti per l'efficienza, l'ecologia, che in genere si rivelano luoghi dove gli internati, non già cittadini, vivono per lavorare, costretti a sorridere modello Canon per poter mangiare, che di efficienza, ecologia, bella vita han NULLA e che essendo un ecosistema strettamente integrato non possono evolvere se non appunto venendo rifatte da zero, cosa poco proponibile anche in dittatura. Questa è la prova che il digitale è chiave di progresso sia positivo che negativo, serve capire per scegliere il buono ed evitare il cattivo.
Nel digitale abbiamo imparato a fare tanti sistemi indipendenti, internet, per esser agili e resilienti, in generale abbiamo abbandonato i grandi progetti del '900 in favore di soluzioni più piccole e modulari, ci siamo resi conto che a far cose piccole riusciamo e riusciamo a metterle insieme in sistemi complessi, far grandi cose "monoblocco" falliamo. Nel piccolo possiamo avere diversità, esperimento e cambiamento, restando in un sistema complesso, e queste sono chiavi dell'innovazione, nel grande autocontenuto è un ingranaggio unico, un cambiamento implica una rivoluzione generale.
In sintesi, la digitalizzazione porta il telelavoro, questo porta la possibilità di creare una società diversa uscendo dalla polis attuale il cui futuro è la smart city, incubo distopico. Le opzioni sono comprendere il digitale, abbracciarlo ed imporlo per gli aspetti vantaggiosi ai più o trovarlo imposto da coloro che preferiscono la soluzione distopica…
la casa, tassello essenziale
La vita in case unifamiliari in Italia, Spagna, Svizzera, suona strana, roba da contadini o da ricchi, eppure è la forma più diffusa in Irlanda, Belgio, Paesi Bassi, paesi sia più ricchi che più poveri degli altri tre citati e a noi comunque vicini.
La teoria della città moderna è "dividere per rendere efficiente", ad es. al posto di aver una lavatrice "poco usata" per famiglia si fa un locale lavanderia a gettone nei fondi del palazzo che giri praticamente tutta la giornata essendo poche macchine divise tra tutti gli abitanti in "sharing economy", beh questa teoria fu testata nelle Kommunalka sovietiche e esiste ancora ad es. nei Goshiwon in Sud Corea. Il risultato è noto: archi-mostri di miseria e degrado per gli abitanti, business per pochi che vivono altrove.
A minor scala osservo in persona come il mio personale uso di imballi sia enormemente ridotto lasciando la città, poiché ora faccio la spesa nei freezer ed armadi di casa e garage, quindi compro in grande e conservo. Niente affettati sotto plastica, lattine monodose, … non mi serve il cibo veloce in giro, cucino in casa, grazie al telelavoro. Spreco meno. Muovo meno (piedi a parte, per piacere) quindi consumo meno. Osservo anche la resilienza che l'OMS loda in alcuni progetti distopici2 qui davvero presente, perché lo spazio per il fotovoltaico, lo stoccaggio di grandi masse d'acqua calda per lavarsi e per scaldare, acqua pulita con autoclave per tutto, cibo in casa, dà resilienza riducendo pure le spese, dà ben minori problemi in caso di guasto locale come di rete, economia e comfort.
Il grande non fa risparmiare né a costruirlo, né a mantenerlo né a rifarlo, contrariamente a quel che si pubblicizza, però rende schiavi ed aumenta i consumi frivoli,3 incastra i residenti in un gioco di domanda ed offerta di lavoro gestita centralmente e quindi decisa de facto da gente esterna alla polis4 che possiede la città, i servizi e regolando i costi di questi e l'offerta di lavoro garantisce a tutti il non possedere nulla e quindi non aver margine di manovra economico altro che per obbedire, tanto entra in tasca, tanto si spende nei servizi.
La città spinge il consumo, col florilegio del commercio, del resto non c'è manco spazio per far pranzi e cene con gli amici a casa propria, in giro si va solo per consumare qualche servizio, la densità e mobilità continua spinge il mobile, perché si è in attesa/in viaggio in metro, in stazione, li il desktop che dura 10 anni non va bene, serve lo smartphone da buttare ogni 3, serve lo smart-watch, serve pagare qualcuno per far qualsiasi cosa, perché non si possiede nulla, ogni lavoro è condominiale, comunale ecc. Ebbene la casa unifamiliare, la vita sparsa con piccoli edifici produttivi, non certo distanti km e km ma non tutti attaccati per aver natura e margine di manovra, soluzione resa possibile dal telelavoro, è il new deal, la chiave di una civiltà resiliente e sostenibile in cui star bene.
l'educazione, strumento essenziale
Immagino una scuola dove al posto dei compiti a casa c'è la video-lezione accuratamente montata ed evoluta nel tempo per esser interessante, motivante, stimolante la ricerca e l'annotazione personale durante l'ascolto, riascoltabile a piacere, interrompibile e riprendibile come il libro, pubblico non per il business editoriale, sintetico ed aperto, anziché mattone conclusivo. Si studia soprattutto alla sera, il momento migliore per bambini e giovani, il giorno dopo a scuola ogni allievo a chiamata tiene una lezione su quel che ha imparato a casa, il miglior modo per vedere se si è davvero imparato qualcosa, sia i compagni che gli insegnanti fanno domande, con queste testano la conoscenza acquisita e chiariscono nel dialogo i punti incerti emersi dalla lezione dell'allievo. Essendo sparsi poi c'è anche spazio per attività fisica all'aperto, comune in quasi tutta Europa ma non nella densa Italia. Si pensi solo che in Francia il corso di nuoto e di orientamento è parte del curriculum di scuola… Al liceo si comincia ad uscir di casa, come in Svezia, non con mense e portando i panni sporchi a casa, ma con monolocali dove si impara a gestirsi e si conosce in questi il valore dello spazio di casa propria. Questi sono edifici, complessi, ma con uno scopo specifico, quindi rifacibili alla bisogna e per taglia comunque con costi sostenibili in questo.
conclusioni
Difficile distillare oltre la visione d'una società intera ma c'è già di che dibattere, una visione d'insieme e vari spunti. Casa, rinnovabili, lavoro, didattica… La miglior conclusione è quindi suggerire di pensare al fatto che i fossili non sono eterni come non lo sono gli immobili dove viviamo o le infrastrutture che ci danno i servizi che abbiamo. Aspettare la fusione, sognare l'idrogeno è continuare come già facciamo sino all'emergenza dove si agisce presto e male generando situazioni come e peggio dello stato presente, demandando ad altri, alle loro agende ed interessi, il disegno del domani.
ad esempio non riuscendo a trovare volontari che vogliano abitare Innopolis han deciso di "trovarli" in Africa (copia su archive.ph). Altro esempio di EurAsianet su Arkadag, città fantasma altro che allegra, per non parlare dell'WEF2 che loda la smart-city per il futuro pandemico…
Xiong'an città "per le future pandemie" con pass digitali-app per poter uscire di casa, semafori sorveglianti lodata per questo dell'WEF, "resiliente" grazie alle coltivazioni indoor ed al telelavoro.
ad es. gli abitanti di Helsinki inquinano più degli altri Finlandesi ed anche questo studio Australiano purtroppo scarno e vago che osserva un ben maggior impatto degli abitati densi rispetto a quelli sparsi.
cfr. L'uomo a una dimensione di Herbert Marcuse pubblicato per Einaudi, isbn 8806152548.